Nei più importanti teatri italiani è di scena, in questi mesi, l’Amleto diretto da Pietro Carriglio. Dopo il grande successo di pubblico e di critica ottenuto al debutto siciliano, la compagnia del Teatro Biondo Stabile di Palermo giunge allo Storchi di Modena con una serie di repliche dello spettacolo shakespeariano, fino a domenica 8 febbraio. Protagonista assoluto della tragedia è l’attore Luca Lazzareschi, nei panni del fragile e tormentato principe di Danimarca. Lazzareschi vanta una carriera straordinaria: dopo aver conseguito il diploma presso la Bottega Teatrale di Firenze, la scuola diretta da Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi, debutta grazie a grandi registi come Gabriele Lavia, Marco Tullio Giordana, Cesare Lievi, Werner Schroeter e gli stessi Gassman e Albertazzi. Alla vigilia della prima modenese, abbiamo rivolto alcune domande a Luca Lazzareschi.
Lei ha lavorato con “mostri sacri” del panorama teatrale italiano, interpretando ruoli diversi e impegnativi. Perché ha scelto “Amleto”?
“A dir la verità, era da tempo che pensavo di misurarmi con un personaggio così affascinante e complicato. Ho avuto la fortuna di essere scritturato per questa parte e devo ringraziare il regista per aver pensato a me. Credo che per un attore Amleto sia un passaggio fondamentale della propria vita professionale e personale”.
Cosa significa lavorare con Pietro Carriglio?
“E’ il regista ideale. Personalmente, condivido il suo mondo interiore e il suo modo di interpretare le cose. Lavorare con lui è molto gratificante perché lascia molta libertà espressiva a noi attori. E’ riuscito a costruire una regia di grande impatto visivo, curando le scene e i costumi”.
Ci parli un po’ dello spettacolo: che cosa ha di diverso il suo Amleto rispetto a tutti gli altri portati in scena?
“Il nostro spettacolo rispetta pienamente il testo originale di Shakespeare. Ne privilegia le parole. In più, mantiene la sostanza e i nuclei drammaturgici dell’opera. Il pubblico, nonostante Amleto duri tre ore e un quarto, non si annoia. Anzi, a Palermo sono piovuti applausi e complimenti. Una vera soddisfazione. Hanno apprezzato in modo particolare l’atmosfera dark, la pedana rotante sul palco, il gioco di ombre che mette in continuo risalto mani e volti. L’essenzialità. Gigi Saccomandi ha fatto un gran lavoro con le luci, così come Matteo D’Amico con le musiche, davvero suggestive”.
Ci parli dei suoi “compagni di palco”.
“Lavorare al fianco di Galatea Ranzi, Nello Mascia, Luciano Roman e di tutti gli altri è davvero esaltante. La nostra compagnia è nata due anni fa, a Palermo, e insieme abbiamo già dato vita a spettacoli di successo. In particolare, con Galatea, a Siracusa, ricordo con piacere l’esperienza de Il Malinteso. E’ un’attrice molto giovane ma piena di talento. Credo sia la migliore della sua generazione”.
Cosa ne pensa della “crisi” che sta vivendo il teatro italiano?
“Il nostro teatro non se la passa bene. Le compagnie più piccole e private stanno scomparendo. Mancano i fondi necessari alla cultura e allo spettacolo. Molti attori decidono di lasciarsi corteggiare dalla televisione e accettano di recitare in fiction e film di dubbia qualità.. Il teatro è in difficoltà ma, fortunatamente, il pubblico continua a sostenerlo”.
Che consiglio sente di dare ai giovani che sognano di diventare attori?
"E' una domanda molto difficile. Certamente è importante lo studio. Occorre applicarsi e vivere il più possibile l'esperienza della tournèe. Interpretare più personaggi e lavorare con registi molto diversi tra loro. E non abbattersi mai, nonostante il periodo sia davvero complicato".
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